[Esclusiva C4C/Dylandogofili] Intervista a Luca Raimondo

303539_371244482935431_2088010668_n (1)Luca Raimondo è nato nel 1972 a Salerno, in Italia, dove vive e lavora. Esordisce nel 1995 sulle pagine de “L’Intrepido” con una storia breve, “La zona morta”, su sceneggiatura di Paolo Morales. Negli anni successivi, in collaborazione con la Scuola Italiana di Comix di Napoli, pubblica due albi della serie “Il Teatro a Fumetti“: “Non ti pago” e “Le voci di dentro”, entrambe basate sulle omonime commedie del commediografo Eduardo De Filippo. Successivamente collabora con la “International Presse Magazine” disegnando alcune storie brevi sulle riviste “BèDè-Adult” e “BèDè-X” e con la “B&M edizioni“. Per l’editore “Lo Scarabeo” di Torino realizza le illustrazioni de ”I Tarocchi di Casanova”, “I Tarocchi dell’Olimpo“, “I Tarocchi pagani” e “I Tarocchi dello Zodiaco”. Agli inizi del 2002 comincia la sua collaborazione con la Sergio Bonelli Editore: prima nello staff di Jonathan Steele e poi in quello della mini-serie Brad Barron per cui realizza 3 albi. Nel 2005 entra  in pianta stabile nello staff di Dampyr dove esordisce con l’albo n°92 della serie. Per le edizioni francesi Soleil illustra due albi della serie “Le Temps des loups”. Nel 2013 sono suoi i disegni di una storia breve, “Doppia Identità“, per il Dylan Dog Color Fest numero 10 sceneggiata da Giovanni Gualdoni.

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C4 Comic: Come ti sei avvicinato al mondo del fumetto?
Luca: Possiamo dire che è stato il fumetto ad avvicinarsi a me. È un mezzo di espressione a cui ricorro per istinto fin da piccolissimo, quindi lo ritengo parte del mio DNA. Consequenziale quindi leggerne anche. Cominciai con Topolino e si può dire che a leggere ho imparato su quelle pagine.

C4C: Hai fatto degli studi o frequentato dei corsi per approfondire questa tua passione?
L: No, la svolta è avvenuta quando ho scoperto che nella mia città c’era un gruppo di disegnatori professionisti. Il primo in ordine di tempo che ho conosciuto è stato Bruno Brindisi. Da qual momento ho iniziato una sorta di apprendistato che mi ha permesso di “imparare il mestiere” di disegnatore di fumetti e di trasformare quella che fino a quel momento era stata solo una passione in una professione.

C4C: Hai esordito sulle pagine de ‘L’intrepido’, puoi parlarci di questa esperienza?
L: Era il 1995, maggio per la precisione, e siccome cominciavo a produrre materiale “guardabile”, avevo preso l’abitudine di frequentare le fiere di fumetti con il mio book per chiedere pareri ad autori già affermati e verificare la possibilità di qualche collaborazione con editori presenti. All’Expocartoon di Roma riconobbi Paolo Morales (che purtroppo ci ha prematuramente lasciati da poco) e gli sottoposi quelle che mi sembravano le mie migliori tavole. Le trovò interessanti e mi disse che stava cercando disegnatori per un suo progetto che stava per partire sulle pagine dell’Intrepido. Purtroppo, per problemi che di lì a breve avrebbero portato alla chiusura della Universo (la casa editrice che pubblicava L’Intrepido), riuscimmo a fare insieme solo una storia breve di “riscaldamento”, lui ai testi e io ai disegni e il progetto di cui sopra si interrupe praticamente sul nascere. A me di quella esperienza è rimasto il privilegio di aver conosciuto un grandissimo professionista come Paolo che è stata una delle prime persone a credere in me.

C4C: Hai disegnato alcune opere teatrali di Eduardo De Filippo.  Come è stato il processo di trasformazione di un’opera teatrale in fumetto?
L: Essendo un suo maniacale estimatore, Eduardo lo conoscevo già alla perfezione. È stato quindi abbastanza semplice e naturale per me far coincidere due passioni, il fumetto e il suo teatro. Un onore poter partecipare alla trasposizione a fumetti delle sue grandissime opere. L’approccio che ebbi era quasi religioso e quindi ho prestato la massima attenzione a ogni minimo dettaglio per rimanere fedele il più possibile al testo teatrale.

C4C: Poi hai esordito nel mercato francese. Cosa hai trovato di diverso rispetto al mondo fumettistico italiano?
L: Il primo esordio in Francia è avvenuto a causa della difficoltà nel trovare continuità di lavoro qui in Italia dopo l’esperienza del teatro di Eduardo a fumetti. Essendo ancora alle prime armi, in Bonelli non ero riuscito ancora a trovare spazio e quindi, per farmi le ossa, accettai di disegnare fumetti erotici su delle riviste francesi. Al di là della qualità della carta su cui furono stampati quei miei lavori,  differenze sostanziali con pubblicazioni di medesimo genere qui in Italia non ne ho trovati. Insomma il mondo del fumetto erotico sembrava essere lo stesso sia qui che oltralpe.

Il mago-tarocchi dei paganiC4C: Sei passato successivamente a disegnare delle carte da gioco: “Tarocchi”. Com’è stata questa esperienza?
L: Sono sempre riuscito a destreggiarmi piuttosto bene con la colorazione e in particolare con quella ad acquerello. Ebbi l’occasione di conoscere un editore specializzato nella produzione di mazzi di carte da collezione, Lo Scarabeo, e quindi, in aggiunta ai fumetti erotici francesi, dato che avevo il tempo per farlo, accettai anche la proposta di illustrare Tarocchi a tema. È stata sicuramente una piacevole esperienza che, se un giorno ve ne fossero le condizioni, ripeterei immediatamente.

C4C: Passiamo ora all’esperienza in Bonelli. Cosa hai provato nel lavorare per l’editore italiano di fumetti più famoso?
L: Era il punto di approdo che mi ero prefissato fin dall’inizio. Sia perchè abituale lettore di diversi fumetti bonelliani, sia perché ieri come oggi è l’unico editore italiano che ti garantisce la dignità professionale  necessaria per poter vivere di questo lavoro. La realizzazione di un sogno, in pratica.

C4C: Hai esordito nella serie Jonathan Steele ambientata in uno scenario futuristico. Come hai affrontato questa nuova esperienza?
L: Con l’ entusiasmo alle stelle per avere finalmente una sceneggiatura bonelliana da disegnare. Sebbene le tematiche fantasy e fantascientifiche non siano tra le mie preferite, l’entusiasmo e la passione conducono sempre a fare il lavoro nel miglior modo a noi possibile. E, stando alla reazione di Sergio Bonelli in persona all’uscita del mio primo albo di Jonathan Steele, ho il sospetto che è andata proprio così. Fu una grandissima soddisfazione ricevere una sua telefonata e i complimenti per l’esordio. In seguito Sergio Bonelli, ogni qualvolta ho avuto il piacere di incontrarlo di persona, non ha mai mancato di ricordarmi che io “ero uno bravo”.js4

C4C: Dopo hai lavorato alla miniserie Brad Barron. Sei stato condizionato da questo progetto a termine oppure hai trovato degli stimoli interessanti dato il termine della collana?
L: L’approccio a Brad Barron fu lo stesso di Jonathan Steele. Il fatto che fosse una miniserie non mi condizionò in nulla, in quanto ero soltanto concentrato a dare la migliore forma alle idee di Tito Faraci. E’ quello che faccio ogni volta che mi viene affidata una sceneggiatura: il mio impegno lo rivolgo soltanto a renderla al meglio, secondo il massimo delle mie possibilità.

C4C: Conclusa la tua collaborazione su Brad Barron passi a Dampyr. Cambia ancora il genere delle tue opere, cosa hai provato nel disegnare un fumetto horror e nella fattispecie Dampyr?
L: Ero finalmente alle prese con un genere a me più gradito. Storie horror e d’azione ambientate prevalentemente nella nostra epoca, le cui location variano da una parte all’altra del mondo: insomma su Dampyr non ho mai l’occasione di annoiarmi! Certo però che è una serie dove è molto importante curare l’atmosfera e quindi nel corso degli anni ho leggermente modificato il mio stile iniziale, aggiungendo più tratteggi e “sgrigiature” alla linea chiara che ha sempre caratterizzato la mia produzione. Rispetto agli altri lavori, con  Dampyr la fase dell’inchiostrazione è molto più laboriosa.Dampyr work in

C4C: Sei tornato a disegnare per il mercato francese. Cosa ti ha spinto a tornare oltralpe?
D: La passione per quel tipo di fumetto che utilizza anche il colore. Purtroppo non sono arrivato a poter curare personalmente la colorazione come era mia intenzione. Infatti la difficoltà nel gestire più collaborazioni in quel periodo mi ha fatto decidere di dedicarmi solo a Bonelli. In futuro, chissà, vedremo.

C4C: L’anno scorso hai esordito su Dylan Dog Color Fest. Sappiamo che è uno dei tuoi personaggi bonelliani preferiti. Raccontaci la tua esperienza a riguardo.
L: Essendo il personaggio a fumetti cult della mia adolescenza, mi auguravo di riuscire prima o poi a disegnarne almeno qualche pagina. La collana Dylan Dog Color Fest è stata l’occasione giusta per candidarmi senza stravolgere le necessità di redazione che mi chiedevano (e mi chiedono) di dare il mio costante contributo alla periodicità di Dampyr. Ho affrontato l’impegno con il massimo rispetto che il personaggio richiede. All’inizio un po’ mi tremava la matita, ma l’unico momento brutto è stato quando ho terminato l’ultima tavola, sapendo che per il momento non ce ne sarebbero state altre.

Dyd corridoioC4C: Passiamo ora a qualche domanda su “Dylan Dog”. A chi ti sei ispirato nei disegni di Dylan Dog?
L: Per il personaggio ovviamente a Rupert Everett, cercando di fargli assumere le movenze che, per esempio, possiamo vedere benissimo nel film “Della morte Dell’amore”, dove tutti gli appassionati dell’indagatore dell’incubo hanno potuto vedere Rupert Everett cimentarsi nell’interpretazione di un personaggio che era praticamente Dylan Dog. Per lo stile di disegno, invece, mi è bastato seguire la mia inclinazione che ben si sposa con la linea grafica della testata.

C4C: La collaborazione con lo sceneggiatore (Giovanni Gualdoni) è stata facile oppure no?
L: È scivolato tutto liscio come l’olio. Giovanni mi ha dato piena autonomia e a quanto mi ha detto è rimasto molto soddisfatto del risultato finale. D’altronde la sua sceneggiatura si è disegnata praticamente da sola, tanto era chiara e scorrevole. 

C4C: Attualmente hai in cantiere altri progetti su “Dylan Dog”?
L: Purtroppo no. Come ho detto c’è Dampyr da portare avanti mentre Dylan Dog ha già uno staff di disegnatori al completo che se ne occupa.

C4C: E in generale, stai lavorando a qualcosa in particolare?
L: C’è un progetto bonelliano di cui però non mi è dato ancora parlare. Top secret!

C4C: Cosa ne pensi di Roberto Recchioni come curatore di “Dylan Dog”?
L: Mi auguro riesca a portare a termine il compito che la casa editrice e Tiziano Sclavi gli hanno chiesto. È una persona molto preparata e ha tutte le carte in regalo per poterlo fare. Dicono che Dylan Dog avesse bisogno di “essere tirato su”, che i lettori (quali?) fossero insoddisfatti della piega (quale?) che la testata ha preso negli ultimi anni, che “così non si poteva andare avanti” etc etc. Beh, io, parlandone da lettore, vorrei innanzitutto che Dylan rimanesse sempre Dylan.

C4C: Passiamo ora a qualche curiosità di te. A chi ti sei ispirato quando hai iniziato a disegnare?
L: Prima di incontrare Bruno Brindisi e il gruppo salernitano (cioè fino a vent’anni) disegnavo per istinto e, non avendone la necessità, non mi preoccupavo nemmeno di farlo in maniera realistica.  Il realismo avevo  cercato di ottenerlo soltanto quando mi ero cimentato con qualche lavoro ad olio su tela. Ma era sempre comunque solo istinto e passione. Cominciato l’apprendistato di cui ho parlato più sopra, ho quindi iniziato uno studio vero e proprio del disegno: anatomia, prospettiva, etc. A quel momento ci sono arrivato da “tabula rasa”, se rendo l’idea. Il mio stile era ancora tutto da formare. Per gusto personale e per opportunità, assorbire la sintesi di Brindisi, i suoi metodi, i suoi strumenti di lavoro, è stata la cosa più naturale che avvenisse. Poi ovviamente, nel corso del tempo, man mano che li scoprivo, ho cercato di “rubare” a tutti quei disegnatori che destavano il mio interesse.  Dai grandi in assoluto, a quelli che, anche se meno conosciuti, presentano diverse soluzioni che mi sono sembrate interessanti. Il mio stile di oggi, al di là della chiara provenienza dalla cosiddetta “scuola salernitana”, è comunque frutto di questo processo. Un processo che per quanto mi riguarda non si è di certo fermato, ma penso che questo sia piuttosto comune anche tra gli altri miei colleghi.

DiabolikC4C: Con chi ti piacerebbe collaborare?
L: Collaboro già con chi mi piacerebbe collaborare. Come ho detto la Sergio Bonelli Editore è stato l’unico obiettivo importante che intendevo raggiungere. Poi casomai, se un giorno si presentasse l’opportunità, un’apparizione veloce su Diabolik mi piacerebbe farla.

C4C: Quali fumetti consiglieresti a chiunque?
L: Dipende dai gusti. C’è un fumetto per ogni gusto, quindi basta conoscere il gusto e scegliere di conseguenza. Comunque mi sentirei di consigliare una delle collane bonelliane più recenti: Le Storie. Un esempio di come il fumetto non è sempre “roba da bambini”, come troppo spesso si pensa in Italia, ma possa anche essere una piacevole lettura per gente di età maggiore.

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C4C: Quale fumetto avresti voluto disegnare?
L: V for Vendetta.

C4C: Quale fumetto preferisci disegnare?
L: Dylan Dog e Dampyr.

C4C: Quale tuo lavoro ritieni il più bello? E quale il migliore?
L: Farei meno fatica a indicarti il peggiore, quello che mi ha soddisfatto di meno. Invece quando penso a quale potrebbe essere il migliore mi saltano alla mente tutte le cose che avrei potuto fare meglio in ogni mio albo e quindi alla fine non riesco a indicarne uno migliore degli altri. Spero perciò che il più bello sia sempre quello in lavorazione.

C4 Comic ringrazia Luca Raimondo per questa dettagliata e interessantissima intervista. Questa intervista è stata realizzata da Marco Rubertelli, fondatore di C4 Comic, per l’associazione Dylandogofili e per il catalogo della fiera del fumetto Varchi Comics 2014. Di seguito vi proponiamo una galleria di lavori firmati Luca Raimondo.