Il 2014 è sicuramente l’anno di Gigi Cavenago. Il disegnatore lombardo, che lavora attualmente su due delle testate della Sergio Bonelli Editore di maggior successo (Orfani e Dylan Dog), nel corso degli ultimi dodici mesi ha ottenuto due importanti riconoscimenti: Miglior disegnatore italiano al premio Carlo Boscarato 2014 al Treviso Comic Book Festival e al premio Gran Guinigi 2014.
C4 Comic: Salve Gigi, innanzitutto grazie per averci concesso quest’intervista e benvenuto su C4Comic.
Gigi Cavenago: Ci mancherebbe, grazie a voi!
GC: Come è nata non saprei, anche perché più che “nata” è “innata”, nel senso che è una cosa che ti porti nel DNA dalla nascita. Se fin da piccolo resti affascinato dalle figure sui libri, da quello che raccontano, allora hai in te la prima componente di quello che serve a fare questo mestiere. Nel mio caso poi sono cresciuto in un humus particolarmente fertile, visto che mio padre e mio cugino più grande erano già dei lettori voraci.
C4C: Jonathan Steele è stato un passo importante nella tua carriera. Com’è stato confrontarsi con un personaggio che aveva già avuto una vita editoriale di un certo spessore?
GC: Lavorare su Jonathan era bello ed entusiasmante, perché all’epoca è stata la mia grande chance di esordire in edicola. Certo all’inizio c’era parecchia strizza nell’affrontare un lavoro che mi avrebbe portato in edicola, ma Federico Memola mi ha dato fiducia fin da subito e sulle pagine delle sue storie mi sono formato nella maniera migliore: in un mondo come quello di Jonathan bisogna saper gestire elementi reali, affiancandoli a cose immaginarie come draghi e astronavi. Era un genere così contaminato e ricco che era come affrontare un triathlon.
GC: Eh, i salti quantici son sempre difficili! Il disegnatore che passa da un genere all’altro è come un serpente che deve cambiare pelle, è un processo naturale ma faticoso e l’ultimo passaggio da Orfani a Dylan è stato finora quello più tosto. Forse perché su Orfani ci son stato per parecchio tempo, ma anche e soprattutto perché Dylan è una testata a cui sono legato in primis come lettore. È un personaggio che porta con sé tante responsabilità, vista la storia editoriale che ha avuto, gli autori che lo hanno portato avanti mese dopo mese e il numero di lettori che lo seguono da decenni.
C4C: Disegnatori e sceneggiatori spesso viaggiano su due mondi totalmente diversi. Ricordi un aneddoto particolare di misunderstanding da condividere con noi?
GC: Sono due mondi separati ma non più di tanto. Certo ognuno ha un ruolo specifico, ma si condivide lo scopo comune del voler raccontare. Devo dire che il fumetto è un ambito lavorativo in cui la comunicazione è sempre molto lineare, a differenza di altri ambienti, come quello pubblicitario ad esempio, dove spesso le esigenze del disegnatore/grafico vanno a cozzare con certe priorità del committente. Comunque di solito i fraintendimenti tra sceneggiatore e disegnatore si evitano facilmente con una semplice mail chiarificatrice. Proprio per questo non ho molti aneddoti e, di fatto, me ne viene in mente solo uno di un po’ di anni fa, quando lavoravo su Jonathan Steele.
Dovevo disegnare un vignettone in cui compariva un enorme macchinario che consentiva viaggi extra dimensionali (o qualcosa del genere). Vista l’enormità della struttura, mi venne naturale circondarlo di tecnici e scienziati in camice bianco: tante figurine piccine e faticose da disegnare che si affaccendavano attorno a tutta quella tecnologia. Quando consegnai la tavola Federico mi scrisse: “Molto bella, ma chi è tutta quella gente?” e io “Ah, ero convinto che… ma non c’era scritto in sceneggiatura?”. Non c’era scritto, e mi toccò cancellare tutti quei personaggi che mi erano costati qualche oretta di lavoro, e concludo con: “chi è causa del suo mal, pianga se stesso”.
GC: Il 2014 è stato un anno interessante! Comunque non ho fatto tutto da solo: il mandante è senz’altro Roberto Recchioni con la complicità della stessa casa editrice. C’è chi sostiene che la Bonelli sia poco aperta alle novità, ma la verità è che ha sempre saputo offrire valide alternative nel corso di tutta la sua storia editoriale (pensate anche solo al n.1 di Dylan Dog). Quindi non posso proprio dire di sentire la responsabilità verso una tradizione fumettistica consolidata, perché l’evoluzione è sempre stata presente e quello che sta uscendo in edicola in questi mesi ne è la naturale conseguenza. A livello personale poi, la sperimentazione è qualcosa che mi viene abbastanza naturale, ormai siamo bombardati da così tante idee e ispirazioni a livello visivo che è dura trattenersi dal provare nuovi stili e nuove idee.
GC: La mia visione è abbastanza limitata, visto che, per il momento, non sto partecipando a nessuna storia della “fase due”: le copertine di “Old Boy” sono senz’altro un segno del cambiamento, ma si riferiscono alle storie del vecchio corso, vale a dire quelle con un Dylan che ancora se la vive come se fossimo ancora nel 1986. Credo comunque che, negli ultimi mesi, molti lettori in rete si siano concentrati troppo sugli aspetti più superficiali di questa “fase due” e non hanno colto che l’idea di “downgrade” è proprio quella di tornare allo spirito iniziale della serie. Si torna a proporre storie che non lasceranno il lettore indifferente, e questo conta più di ogni altra cosa.
GC: Tremassero solo le gambe!!! In realtà è una cosa a cui cerco di non pensare troppo per il momento, perché ci sono altre cose in ballo a precederla e spero che, quando si dovrà iniziare sul serio, sarò psicologicamente pronto (una vana speranza intendiamoci). La responsabilità è enorme: ho amato molto sia la storia di Roberto che il lavoro di Massimo Carnevale su “Mater Morbi”. Inoltre dovrebbe uscire come albo celebrativo (per i trent’anni di Dylan se non erro) e, come se non bastasse, c’è l’idea di farla interamente con uno stile pittorico, come quello che s’è visto nella sequenza onirica di Orfani n.11. Di questi dettagli però è presto per parlarne, dato che molte di queste decisioni verranno prese quando si avrà un’idea più precisa dei tempi di lavorazione.
GC: Quando si parla di gente di questo calibro è difficile rimanere indifferenti. Mi piacciono entrambi e pure parecchio anche se Gipi mi colpisce senz’altro a un livello più emotivo. Ho iniziato anni fa con “Appunti per una storia di guerra” e poi non mi sono più fermato. Oltre ai libri mi piace seguire il suo blog, mi piace ascoltarlo e leggerlo nelle interviste, perché è una fonte inesauribile e anche in una clip di cinque minuti dice sempre qualcosa capace di innescare un pensiero. Quando sembrava che si sarebbe dato anima e corpo (e in maniera esclusiva) a girare film, un po’ mi spiaceva perché, per quanto bravo fosse, il cinema è un mezzo che ha bisogno di troppa gente, invece un fumetto è un dialogo che si percepisce in maniera molto più diretta, intima e personale.
Zerocalcare invece mi entusiasma per questa capacità che ha avuto di abbracciare un pubblico gigantesco, che comprende gente che normalmente i fumetti non li considera manco di striscio! Parla a tutti! Specie a quelli di una certa fascia generazionale. E in un periodo come questo, in cui son tanti a volersi far sentire in rete e altrove non è una cosa da poco, specie perché ci è riuscito senza alzare la voce, ma piuttosto puntando su contenuti e su una capacità di comunicare solidissima!
GC: Nel mio futuro c’è il numero 1 della terza stagione di “Orfani” che uscirà tra un anno esatto. Ho anche in ballo una sceneggiatura di Barbara Baraldi per una storia breve a colori per un Dylan Dog Color Fest, ma per il momento “Orfani” ha la precedenza.
C4C: C’è un fumetto di cui vorresti essere il disegnatore, che è un modo per chiederti: quale sia il tuo titolo preferito?
GC: La mia risposta standard è sempre stata “Dylan Dog”. Ora dico “Hellboy”, per il momento diciamo che sto a posto così.
C4C: Ultima domanda: qual è la tua kryptonite?
GC: Le scadenze. Ma anche la caffeina.
C4Comic ringrazia Gigi Cavenago per il tempo concesso e per la gentilezza dimostrata.
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