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Intervista dal fronte: Bonvi raccontato dalla figlia, Sofia Bonvicini (prima parte)

Nuova puntata dell’unica e sola Rubriken autorizaten und uffizialen di Bonvi, per gli appassionaten e neofiten delle grandi imprese del Maestro, questa volta in compagnia di Sofia Bonvicini.

Nelle precedenti puntate avevamo parlato della vita e delle opere di Bonvi e del debutto sul web del sito www.bonvi.it. In questa terza puntata offriremo ai nostri lettori uno sguardo molto vicino a Bonvi, quello di sua figlia Sofia Bonvicini, che ci porterà dietro le quinte del suo mondo e delle sue opere.

L’IMPEGNO, LE TECNICHE DI DISEGNO, LA PROGETTAZIONE, IL DESIGN E LA VITA QUOTIDIANA DELLA ROCKSTAR DEL FUMETTO

“Metti una sera a cena” incontrare Sofia, la figlia di uno dei più importanti fumettisti italiani: Franco Bonvicini, in arte Bonvi, autore delle Sturmtruppen e di Storie dallo spazio profondo. Come non amare Milano quando fa queste sorprese… e come non cogliere l’opportunità di chiederle un’intervista in esclusiva per C4comic.

C4 Comic: Eccomi qui, potrei fare una breve introduzione sulla carriera e le opere di Bonvi, ma preferisco che sia tu a farlo, Sofia, dal tuo punto di vista. Chi era Bonvi?
Sofia Bonvicini: Bonvi era innanzitutto il mio papà, che visto con gli occhi di una figlia somiglia più a un essere mitologico, infallibile, unico e assolutamente immortale. Tutto il contrario di quello che era in realtà, tranne l’ultima, ovviamente, perché mio padre è ancora vivo. Vive in tutti i suoi lavori e nel ricordo di chi l’ha conosciuto sia personalmente che attraverso le sue opere.

La cosa più bella che mi ha lasciato è stata la capacità di immaginare la realtà. In fondo, la realtà come dato oggettivo, uguale per tutti, non esiste. Esiste però la dimensione che noi, chiamiamo a nostro modo “realtà” e la rendiamo nostra in tutto e per tutto.
Ecco, in questo mio padre era universalmente unico: nella capacità di vedere la realtà attraverso i suoi occhi e di raccontarla. La sua realtà superava a volte persino la fantasia stessa, ma lui non se ne è mai vergognato, anzi, ha saputo con il suo personalissimo tratto raccontarla e tramandarla fino ai nostri giorni, ancora attualissima e ricca di spunti su cui riflettere… o riderci su.
Aveva più o meno la mia età (30 anni n.d.r.) quando disegnò la prima Sturmtruppen. Correva l’anno 1969, a Bologna, lo fece su una tovaglia di carta di un’osteria. C’era un clima molto fertile a Bologna in quegli anni in cui artisti e cantanti che hanno fatto un’epoca si incontravano negli stessi posti e univano saperi ed esperienze, tecnica e visione.

Per rendere l’idea, Bologna a quei tempi era un po’ come la Sylicon Valley odierna, e, guardandolo con gli occhi degli startuppisti contemporanei, mio padre era l’uomo giusto al momento giusto.
Da quel fatidico giorno fu un susseguirsi di successi che tutti noi conosciamo bene: dalle Sturmtruppen, alle animazioni di Nick Carter, passando dalle francesi Cronache del dopobomba, fino ad arrivare alle storie spaziali di un robottino che assomigliava al suo amico Francesco Guccini e a un baldo giovanotto, protagonista della serie intitolata Storie dello spazio profondo… e ancora tante, tante altre creazioni, storie, racconti e personaggi
Non si fermava mai. Neppure quando passava del tempo con me… spesso mi sedevo al tavolo vicino a lui nel suo studio di via Rizzoli (proprio sotto le due torri) e disegnavamo insieme.

Mentre chinava, io usavo le matite, perché non avevo il permesso di toccare i suoi preziosissimi pennini, ma, da ribelle come lui, li usavo di nascosto… e così ho imparato a disegnare e scoprire l’esistenza di una marea di tecniche, tutte diverse.
Il mio papà faceva tutto: dalla matita alla china fino al retino, pioniere nell’uso, qui in Italia e Maestro indiscusso persino all’estero. È stato un innovatore in tutto, anche dal punto di vista stilistico: ha portato la pop art nel mondo dei fumetti che fino a oggi è stato considerato un’arte minore, elevandolo a vera e propria maestranza.
Per usare un tema attuale, mio padre era un vero e proprio designer. Non solo inventava un prodotto commercialmente vendibile (il character), ma anche ne disegnava il packaging (consistente nei formati e nelle tecniche con le chine e i retini). Era un vero e proprio “makers” e faceva tutto ciò a mano: dalle matite, alle colorazioni, al taglio della carta, alla numerazione delle tavole… una fatica incredibile. Ma gli piaceva e spesso mi ricordo, rideva da solo quando finiva una striscia.

Ho sempre pensato fosse “strano”, ma ormai mi ero abituata alle sue stranezze: bofonchiava e borbottava spesso, gesticolava persino da solo.
 Mio padre era uno dei pochi che viveva in prima persona quello che disegnava. Quanti di quelli che oggi si professano “artisti” riuscirebbero a sopportare il peso di vivere una realtà immaginata e di rimanervi fedeli fino alla fine? Una domanda che mi pongo spesso… ma alla quale non trovo molte risposte intorno a me…

Vi è piaciuto entrare nel mondo di Bonvi, nel suo studio e scoprire una parte della sua vita? Il racconto di Sofia Bonvicini per i lettori di C4comic non finisce qui, ci dirà tante cose nella seconda parte di questa interessantissima intervista che uscirà la prossima settimana.

Nel frattempo se volete esplorare la “realtà immaginata” da Bonvi troverete tantissimo materiale sul sito www.bonvi.it insieme a tantissimi suoi disegni.

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