[Esclusiva] C4 Chiacchiere con… Pasquale Frisenda – Speciale Patagonia

Continua il nostro Speciale Patagonia (potete leggere la prima parte cliccando qui), un focus sulla storia e sui dietro le quinte della sua realizzazione in occasione della ristampa deluxe da parte di BAO Publishing. Per l’occasione abbiamo avuto la fortuna di poter intervistare Pasquale Frisenda, autore delle matite del volume, che gentilmente si è reso disponibile per una chiacchierata fiume sulla genesi del volume e sui suoi progetti futuri. Per chi ancora non lo conoscesse Frisenda è uno degli autori di punta del fumetto italiano, con alle spalle una lunga carriera che passa in mezzo a vere e proprie pietre miliari come Ken Parker e Magico Vento.

Io mi fermo qui, spero apprezzerete, enjoy!

Patagonia Bao

C4Comic – Gentile Pasquale Le diamo il benvenuto su C4Comic. È un piacere e un onore avere l’opportunità di poter fare questa intervista. Partiamo da una domanda che in genere si tiene a fine intervista: Ken Parker, Magico Vento e Tex, tre nomi simbolo della letteratura western a fumetti, un genere che sembra calzarLe magnificamente, cosa Le piacerebbe disegnare in futuro? Qual è il sogno nel cassetto che artisticamente non ha ancora realizzato?

Frisenda in redazione bao 01Pasquale Frisenda Di sogni nel cassetto ce ne sono diversi, in effetti, e alcuni sono anche in fase di sviluppo, se così si può dire. Sono da sempre un grande appassionato di fumetti (oltre che di cinema) western, e dunque ho affrontato questo genere con grande partecipazione, tentando di interpretarlo attraverso una mia visione delle cose ma naturalmente influenzato dai grandi maestri che lo hanno realizzato al meglio delle loro capacità, come Gino D’Antonio, Renzo Calegari, Rino Albertarelli, Jean Giraud, Giovanni Ticci, Paolo Eleuteri Serpieri, Hermann o Ivo Milazzo (e quest’ultimo ho anche avuto la fortuna di averlo come maestro), solo per citarne alcuni, che sono arrivati ad ampliarne sia i confini espressivi e narrativi sia la conoscenza, anche di fatti storici, nella mente, negli occhi e nel cuore dei lettori. Ma molti generi mi trovano partecipe allo stesso modo, come il noir, soprattutto di taglio classico, e la fantascienza, legata in questo caso alle tematiche emerse nella letteratura sul genere negli anni ’60 e ’70, con autori come Arthur C. Clark, Philip K. Dick e Ray Bradbury, dove l’esperienza umana, dai suoi albori fino ai nostri giorni, per non parlare della nostra complessa psiche, sviluppata in tanti millenni, sono elementi importanti come e più della descrizione dei razzi spaziali e della scoperta di pianeti sconosciuti.

C4C – Qual è stato l’impatto nel misurarsi per la prima volta con Tex con una storia come “Patagonia” e quanto è stato un fattore critico quello di dover lavorare con un’ambientazione come quella delle pampas argentine, diversa  dai consueti canoni del genere western?

Bozza di un'idea per la cover del volume BAO. L'idea era quella di richiamare all'occhio la bandiera argentina.

Bozza di un’idea per la cover del volume BAO. L’idea era quella di richiamare all’occhio la bandiera argentina.

P.F. L’approccio al personaggio di “Tex” non fu affatto semplice, per me. Avevo accumulato una certa esperienza nel disegnare fumetti western grazie alla partecipazione a serie come “Ken Parker” e “Magico Vento”, ma “Tex” rappresenta sempre e comunque una sfida, per un disegnatore italiano in particolar modo, credo. Uscito dallo staff  di “Magico Vento”, avevo voglia di misurarmi in altri generi, e proprio per questo avevo preso appuntamento con Sergio Bonelli per sottoporgli le mie intenzioni e anche alcune tavole di prova di “Dylan Dog” (e nelle mie intenzioni c’era anche di farne alcune di “Nathan Never”). Ricordo che Bonelli fu molto gentile e disponibile, e, alla fine, dopo una lunga chiaccherata, buttò un occhio anche alle tavole (molto velocemente, in realtà), ritenendole comunque adeguate alla serie. Ma la sua decisione l’aveva già presa, e me la dichiarò pochi giorni dopo, cioè di farmi passare alla serie di “Tex”. La notizia mi spiazzò alquanto, ancora di più, poi, quando mi venne detto che l’impegno consisteva nel disegnare un numero speciale di “Tex”, cioè uno dei cosiddetti texoni. Mi sentii inadeguato all’impegno, perché, come ben sanno gli appassionati, i texoni sono una serie destinata a molti autori di fama internazionale, o comunque che hanno una Frisenda Ken Parkersolidissima carriera alle spalle, ma decisi comunque di provare. Poco tempo dopo arrivarono le prime pagine di sceneggiatura, che anche se le trovai scritte con mirabile partecipazione da Mauro Boselli, fecero aumentare la mia sensazione di inadeguatezza al progetto. Non solo era una storia di “Tex”, il personaggio simbolo della casa editrice, ma era anche una storia ambientata nella pampa argentina, tra i militari, i gauchos e gli indigeni di quelle zone. Questo significava che tutta o quasi la documentazione raccolta in tanti anni di lavoro su “Ken Parker” e “Magico Vento” non sarebbe servita a nulla e che avrei dovuto ricominciare da zero, in tal senso. La mia perplessità era totale, ma per contraltare avevo davanti a me la passione che metteva in ogni suo progetto Sergio Bonelli, e non volevo deluderlo ne perdere l’occasione che mi stava offrendo, un segnale di grande fiducia nei miei confronti. L’inizio fu molto lento, con un continuo fare e rifare le stesse tavole e il cercare più documentazione possibile (cosa in cui mi aiutarono molto sia lo stesso Bonelli che Mauro Boselli), e piano piano piano presi le misure all’impegno che avevo davanti, riuscendo a dargli una forma che potessi gestire. Una frase che mi disse Bonelli dopo aver visto le prove sui personaggi, dove tentavo di riprendere la versione del personaggio data da Giovanni Ticci, uno dei miei disegnatori preferiti di “Tex”, e che mi aiutò molto fu: “Io non voglio una versione di Tex che ho già visto, ma voglio la tua versione di Tex”. Questa cosa mi diede una maggiore fiducia di trovare un’interpretazione del personaggio più personale e dunque più sentita. Il lavoro sviluppato da quel momento in poi su “Patagonia” fu molto lungo (ben tre anni) e, per me, davvero molto impegnativo, ma, forse, lo scoglio maggiore era stato già superato.”

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C4C Il formato del “Texone” ha permesso di apprezzare appieno il suo lavoro. Oltre alla cura impressionante di ogni singolo dettaglio, ciò che mi ha colpito è la capacità di rendere unico ogni volto. “Patagonia” è una storia con molte figure, quasi corale, eppure si distingue perfettamente ogni personaggio coinvolto nell’azione già ad un primo sguardo. Un realismo eccezionale, che consolida e contribuisce a costruire il tono tragico della vicenda attraverso i volti dei protagonisti e dei personaggi secondari. Ha avuto particolari indicazioni in merito da parte di Sergio Bonelli o dallo stesso Boselli, oppure ha avuto libertà di manovra nel caratterizzare i personaggi?

Frisenda Ken Parker 02P.F. – Molti personaggio erano descritti in sceneggiatura, sia come carattere che come volti o abbigliamento, ma tante delle cose e dei dettagli poi apparsi nelle tavole sono frutto della ricerca fatta in quel periodo. Oltre alle fotografie e alle stampe d’epoca, sia di ambienti che sui militari e sulle popolazioni indigene, un aiuto determinante mi arrivò da un libro che raccoglieva i lavori di Juan Manuel Blanes, un pittore uruguiano del 1800  conosciuto grazie all’indicazione di un collega, Maurizio Di Vincenzo. I dipinti di Blanes raccontano nei minimi dettagli quelle genti e quell’epoca, e fu davvero una svolta avere una così ricca panoramica di immagini da consultare. Altre fonti preziose, anche per delineare in maniera più precisa il tipo di atmosfera da dare al racconto, furono delle opere a fumetti di produzione argentina, tra cui: “La guerra della Pampa” di Enrique Breccia”, “Hormiga negra” di Walter Ciocca, “Pampa” di Carlos Nine, e infine delle illustrazioni di Alberto Breccia (come quelle della serie dedicata a “El gaucho Martìn Fierro” e quelle realizzate per la mostra “Alberto Breccia: Illustrazioni dei racconti di Borges”) o José Muñoz (il personaggio di Chonkì arriva, ad esempio, dalla suggestione datami da un disegno di Muñoz intitolato “Les damnés de la pampa”, pubblicato qui in Italia nel volume “Ombre di china” delle edizioni Hazard). Importanti furono anche diversi lavori di Hugo Pratt, che mi mostrarono per la prima volta Bonelli e Boselli e che poi trovai nei volumi “Hugo Pratt ’50” e “Hugo Pratt ’60”, pubblicati dalla Visualprint nel 1980, come anche il suo “Sergente Kirk”, uno dei primissimi lavori di Hugo Pratt realizzato proprio in argentina su testi di uno dei padri dell’historieta, Hector Oesterheld.

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C4C – Sempre restando in tema di realismo, il lavoro che ha svolto sulle ambientazioni è quanto di più vivido e coinvolgente mi sia mai capitato di leggere. Che si tratti di un paesaggio, di una battaglia o di una scena in notturna, attorno al fuoco, le Sue tavole catturano il lettore e lo trascinano letteralmente all’interno della storia. C’è stato qualche elemento della sua carriera che ha trovato particolarmente utile per poter realizzare un lavoro così coinvolgente?

patagonia2_bigP.F. – Oltre ai moltissimi disegnatori di fumetti da me amati (e qualcuno l’ho già citato), un’altra fonte inesauribile di ispirazione è stata e continua ad essere ovviamente il cinema. I lavori di alcuni registi in particolar modo, anche se molto diversi tra loro, sia come stile che come carattere, mi è venuto utile per “Patagonia”, e qui vorrei segnalare almeno: Orson Welles, Fred Zinneman, David Lean, Luchino Visconti, Stanley Kubrick, Ridley Scott, Sergio Leone, Sam Peckinpah e Vittorio De Sica. I loro migliori lavori si distinguono per una particolare stratificazione delle immagini, che le fa sentire e risultare molto dense, ricchissime di dettagli, non solo per quello che mostrano “in primo piano”, ma anche nella “cornice delle immagini” (spesso sono dettagli non percepibili dall’occhio dello spettatore, ma presenti comunque nei vari set allestiti e che servono a far immergere gli attori e lo staff tecnico in quella dimensione). Sono registi tesi a ricreare un intero mondo sullo schermo, vivido, plausibile e il più possibile completo, e non solo le sequenze che devono poi comporre il film. Questo lavoro mi affascina moltissimo, e mi piace leggere libri che parlano di come vengono realizzati determinati film, raccontando tutti i retroscena, gli aneddoti e come sono arrivati a quei risultati (oggi cosa sempre più accessibile grazie ai tanti extra presenti nelle edizioni dvd o blu-ray di molti titoli). Ma ogni forma di immagine è importante per un disegnatore, e, insieme al cinema, cerco da sempre di mettere da parte e consultare molti libri di illustrazione, pittura e fotografia. Il lavoro di un fotografo, ad esempio, che sia per stile, gusto delle immagini e materia trattata in tante sue opere, mi è stato utilissimo nella realizzazione delle tavole di “Patagonia”, è stato quello di Sebastião Salgado, il celebre fotogiornalista brasiliano conosciuto soprattutto per aver trattato in molti suoi libri tematiche scottanti, come i diritti dei lavoratori, la povertà e gli effetti distruttivi dell’economia di mercato nei paesi in via di sviluppo, ben visibili in titoli come “La mano dell’uomo” e “Genesis”.

La cartella contenente tutti gli studi e gli sketch che Frisenda ha portato alla redazione BAO.

La cartella contenente tutti gli studi e gli sketch che Frisenda ha portato alla redazione BAO.

C4C – Abbiamo avuto la fortuna di poter ammirare l’impressionante cartella di bozze, tavole e studi che ha consegnato in BAO Publishing per l’edizione deluxe del volume, la domanda sorge quindi spontanea: quanto tempo occorre per lavorare ad una storia così complessa come Patagonia? Qual è stato l’elemento più difficile con cui si è dovuto confrontare?

P.F. – Come detto, per completare il texone ho impiegato tre anni di lavoro davvero molto intensi. La difficoltà maggiore è stata quella di cercare e trovare la documentazione necessaria alle varie scene che la sceneggiatura offriva, per eliminare o almeno ridurre il più possibile la presenza di errori o imprecisioni nella rappresentazione sia degli ambienti, che delle divise dei militari o dei costumi dei gauchos e dei nativi. Tutto quello che mi è passato sotto mano in quegli anni è stato da me archiviato in modo da potere essere utilizzato nelle tavole. Sia immagini, ovviamente, ma anche racconti, come, ad esempio, un articolo su Charles Darwin pubblicato più o meno nel 2007, se non ricordo male, su un numero dell’edizione italiana del “National geographic”, dove il celebre naturalista raccontava un suo viaggio nella pampa argentina, descrivendo sia la flora che la fauna da lui osservate ma anche gli usi e i costumi dei gauchos. 

C4C – Qual è la cosa di cui è più soddisfatto del suo lavoro su Patagonia e che cosa invece cambierebbe se potesse tornare indietro?

Frisenda Magico VentoP.F. – Più soddisfatto… non lo so… forse dall’atmosfera che, credo, si respira all’interno delle tavole. Sì, direi questo. Cosa rifarei? Beh, tante cose, e chi mi conosce sa che il fare e rifare è una costante del mio lavoro, perché raramente sono contento di quello che disegno. Anche il buon Sergio Bonelli mi riprese a suo modo per questa mia abitudine, a causa del fatto che ero davvero in ritardo nella prima consegna, dicendomi: “Tu lavora sereno e portami le tavole, che servono anche allo sceneggiatore per essere stimolato, che poi se qualcosa non va lo si rivede dopo”. Cosa che feci, e che servì anche quella a sbloccarmi. Bonelli e Boselli mi seguirono molto durante la lavorazione del texone, e sapere che in redazione c’era proprio Bonelli a visionare le tavole mi fece impegnare ancora di più nel farle, dalla prima all’ultima (compresi i tanti rifacimenti che poi non gli raccontai più, anche se lo ha sempre capito, ovviamente), in modo, come detto, di cercare di non deluderlo. Il suo commento alla fine del lavoro, dopo la sua consueta e attenta lettura prima di andare in stampa, fu davvero molto positivo, e mi tolse un vero peso dalle spalle, quel peso che sentivo come responsabilità sia verso di lui che verso la bellissima sceneggiatura di Boselli, e che mi fece pensare per la prima volta che, forse, sarebbe andato tutto bene. Ma non rimetterei le mani sul texone anche seguendo un consiglio che Frisenda westlucca (550x359)mi diede tempo fa il grande e compianto Sergio Toppi, uno dei miei disegnatori preferiti in assoluto. “E’ meglio”, diceva, “che un lavoro fatto rimanga così com’è, con i suoi pregi e i suoi difetti, anche per capire dove riusciamo a cambiare, crescere e migliorare nei lavori successivi.” In una delle rare occasioni da me avute di incontrarlo, Toppi, sorprendendomi, commentò a modo suo anche il texone, perché, da profondo conoscitore di popolazioni arcaiche, mi disse: “Non era facile rendere graficamente interessanti le popolazioni indigene che hai disegnato. Fossero stati gli atzechi, va bene, buoni tutti, ma quel tipo di popolazioni non hanno tratti distintivi nei costumi, ed erano genti molto povere. Eppure li ho trovati tutti molto caratterizzati, e i loro comportamenti esprimono molta dignità”. Per risposta credo di essere riuscito a biascicare solo uno stentato “Grazie”, ma credo che potete ben capire come mi sono sentito dentro in quel momento.

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Una bellissima vignetta di Patagonia nel dettaglio.

C4C – Lei si è dovuto, da subito, confrontare con un Tex in parte diverso da quello classico, un eroe se vogliamo più oscuro e costretto a prendere decisioni estreme ma che allo stesso tempo rimane sempre e comunque sé stesso. Una dualità non certo semplice da rappresentare. In virtù di questa peculiarità, per orientarsi quando ha iniziato a lavorare alla storia, ha studiato qualcuno in particolare dei disegnatori storici della serie?

Un omaggio di Frisenda a Galep.

Un omaggio di Frisenda a Galep.

P.F. Il mio riferimento principale è stata, come detto, la versione data da Giovanni Ticci al personaggio, sia quella delle sue prime storie, come “Sulle piste del nord”, “Terra promessa”, “A sud di Nogales” o “Gli eroi di Devil pass”, che quella più recente. Volevo comunque rappresentare un uomo fisicamente prestante, ma senza esagerare nella muscolatura (Tex è comunque un uomo, non un supereroe). In alcuni dettagli ho poi cercato di omaggiare altri disegnatori della saga di “Tex” a me cari, come Aurelio “Galep” Galleppini (reinserendo negli stivali di Tex la striscia gialla con la stelletta, cosa che lui ha sempre disegnato) e Fernando Fusco (mettendo il coltello attaccato al cinturone di Tex, elemento che Fusco non ha mai fatto mancare). Guardando le tavole del primissimo Galleppini ho poi in parte riscoperto l’abilità di questo disegnatore, che non guardavo più da anni. Un piccolo omaggio a Galep e a quel periodo di “Tex” l’ho voluto rendere anche con il disegno realizzato per lo stand Bonelli e portato a Lucca l’anno scorso.

C4C – Pasquale, se permette vorrei ricollegarmi per un attimo alla prima domanda per chiedere se Le andrebbe di raccontarci qualcosa sui suoi prossimi progetti?

Pasquale Frisenda mi fa una "dedica" sul mio volume BAO e viene fuori un capolavoro.

Pasquale Frisenda fa una “dedica” sul mio volume BAO e viene fuori un capolavoro.

P.F. Ora sto realizzando un albo per la collana “Le Storie” della Sergio Bonelli Editore (un esperimento editoriale coraggioso, oggi come oggi, che prosegue in parte iniziative come la “Collana Rodeo”, serie che Sergio Bonelli pubblicò dal 1967 e in cui esordì, tra le altre cose, anche la splendida “Storia del West” di Gino D’Antonio). La storia in questione è ambientata nel periodo napoleonico, durante la ritirata di Napoleone dalla Russia, e fa leva su alcuni racconti del folklore di quelle terre. Le tavole, disegnate su testi di Tito Faraci, sono completamente in mezzatinta, una tecnica che amo molto. Ho poi un progetto, a cui tengo in maniera particolare e per vari fattori, in collaborazione con Francesco Artibani, e di cui ho da poco finito le tavole di prova (queste interamente realizzate a colori). C’è anche un altro progetto in ballo, e questo per gli Stati Uniti, ma è ancora prematuro parlarne.

C4C – L’ultima domanda Le risulterà inconsueta ma per noi di C4Comic è una sorta marchio di fabbrica: qual è la Sua kryptonite?

P.F. La pigrizia. Devo sempre trovare nuovi stimoli per andare avanti e cercare di non sedermi su quello che ho già acquisito con il rischio di sconfinare nella maniera, che per un disegnatore non è mai una cosa positiva. Ma non sempre è facile, anzi. Però sarebbe deleterio per uno come me, anche perché, come già detto, non sono mai contento di quello che faccio, e se cominciassi a ripetere sempre le stesse cose senza mai un cambiamento, per quanto minimo, sarebbe la fine.

C4C – Pasquale grazie per la disponibilità e per l’intervista, a nome di tutta la redazione di C4Comic Le faccio i miei più sentiti ringraziamenti e auguri per i suoi progetti futuri. 

P.F. Grazie a voi di tutto.