CRONACHE DAL PIANETA DEI MORTI BAO PUBLISHING BONELLI ALESSANDRO BILOTTA MARVEL MAGNETO TESTAMENTO WHAT IF BATTLIN’ JACK MURDOCK – Con il pretesto (un piacevole e bel pretesto davvero, ndr.) dell’uscita ufficiale del volume, targato BAO Publishing, di Dylan Dog “Cronache dal pianeta dei morti” abbiamo avuto l’occasione di scambiare quattro chiacchiere con uno dei disegnatori: Carmine Di Giandomenico. Non starò a fare introduzioni lunghe, né presentazioni, o rischierei di non finirla più, e quest’intervista è già molto succosa.
Enjoy!
C4C – Ciao Carmine, innanzitutto benvenuto e grazie per aver accettato di scambiare qualche chiacchiera con noi di C4Comic, significa davvero molto. Come faccio di solito preferisco che sia l’intervistato a presentarsi. Vuoi parlarci un po’ di te?
Carmine – Ciao, e il piacere è mio.
Che dire, è difficile presentarsi, di solito non vado oltre il mio nome e cognome.
Carmine – La mia passione, come per molti altri colleghi, nasce da piccolo, dall’attrazione per le immagini dei fumetti che leggeva mio padre. Ero incuriosito dal mondo fantastico. E da quel fascino che subivo è nata l’esigenza di emulazione, parlo del disegno. Volevo imparare a disegnare gli eroi che sognavo leggendoli. Ed è stata questa passione che mi ha spinto a scegliere il liceo artistico. Mi sono, poi, fermato con gli studi e messo sotto a disegnare per poter raggiungere il mio obiettivo: apprendere come raccontare storie a fumetti.
Carmine – Questa domanda la trovo sempre imbarazzante. Perché? Perché il mio approdo da Marvel è un’anomalia e non il normale percorso, né quello che si dovrebbe seguire per presentarsi a una casa editrice. Ripeto, non prendetemi a esempio. Sono stato solo fortunato, capace di non perdere l’occasione. Ho ricambiato con affidabilità e professionalità la fiducia che mi è stata dimostrata.
Nella pratica ho soltanto inviato dei miei disegni a un forum specifico, che oggi non esiste più. Lì sono stato notato da Quesada (Joe Quesada, se non sapete chi è andatevi subito a informare! ndr.) che mi ha dato un’opportunità.
Ripeto non è una scorciatoia, e non è un esempio da seguire. Era il 2005. Bel periodo!
Carmine – Non vi sono differenze lavorative, se non per una sola cosa: dare la libertà di regia sulla pagina al disegnatore. Ci sono solo alcuni sceneggiatori che richiedono l’assoluta fedeltà a quanto scrivono. Ma alla fine del discorso, il succo non cambia di molto. Che il fumetto sia francese, statunitense o italiano, cambia poco. Le differenze effettive sono nelle tempistiche per la realizzazione di produzione. Ma questo poco importa al lettore.
C4C – Forse non tutti sanno delle tue collaborazioni per le storyboards con Martin Scorsese e Tsui Hark. Vuoi dirci di più?
Carmine – Allora approfitto di una cosa. Per quanto riguarda Gangs Of New York di Scorsese SPECIFICO che la mia collaborazione è stata per una settimana e non per l’intera produzione del film. Lo specifico perché ogni volta che ne parlo i giornalisti, per farsi leggere l’articolo, hanno sempre gonfiato con titoloni svianti. Hanno sempre omesso questo dettaglio per me importante, e che ho sempre puntualizzato perché non ho intenzione di prendermi meriti di una lavorazione completa che, invece, hanno sviluppato altri professionisti. Ho realizzato storyboards per quello che riguardava gli effetti speciali (digitali) per l’inizio del film, il bombardamento della piazza, e il finale. Un’esperienza magica, con Dante Ferretti sul set che dirigeva i lavori di ricostruzione della piazza. Una settimana intensa.
Per Tsui Hark ho collaborato agli storyboards del film Double Team dove oltre alle sequenze, ho realizzato anche un pannello pubblicitario, decorativo, inserito sul set, e che appare per un frammento di secondo nel film stesso.
Il cinema è un mondo fantastico e pieno di ombre intriganti, che catturano la tua attenzione. Ma avendo vissuto queste esperienze ho capito che la mia indole mi portava altrove. E cioè a fare fumetti: sono la mia vera passione. Di questa esperienza, però, ho fatto tesoro e ancora oggi la applico nel mio lavoro. In fondo il linguaggio del cinema e quello dei fumetti è molto simile.
C4C – Passiamo ora al motivo principale che ci ha portato a quest’intervista. È finalmente uscito, ufficialmente, il volume del Dylan Dog del futuro sceneggiato da Alessandro Bilotta e che riunisce in un lussuoso volume dalla cura tipicamente BAO le storie già uscite per Bonelli. Hai riscontrato, e nel caso quali sono state, delle difficoltà nel concepire un Old Boy così avanti con gli anni e così psicologicamente diverso da quello a cui siamo abituati?
Carmine – Difficoltà nessuna. Conosco DYD da tempo, lo considero il nostro Superman fumettistico italiano. Doverne intrepretare una versione drammatica che richiamasse le vecchie atmosfere è stato solo divertente. Ovviamente con una dose di responsabilità molto alta. Perché il mio tratto è certamente molto diverso da quello italiano, anche se poi, oggi, la globalizzazione ha sdoganato questi recinti. Ho sentito molto la responsabilità verso il lettore che mi ha spronato a dare il meglio.
L’unico disappunto personale nella lavorazione, da appassionato, è stata la scelta del cappotto. Avrei utilizzato una versione ideata da me che richiamasse i colori dell’indagatore: un cappotto nero con un bavero rosso, che potete vedere nel volume. Il redattore dell’epoca, Gualdoni, ha voluto imporre una rievocazione del cappotto in stile Giulio Maraviglia. A me personalmente, come lettore, questa richiesta non è piaciuta. Ma da professionista l’ho realizzata.
Altro gusto è stato inventarsi il meccanismo della museruola. Questa piccola gabbia blocca morsi che ricorda i caschi dei rugbisti americani e Ufo Diapolon, un cartone animato giapponese che vedevo da piccolo. L’ho ideata in maniera che non coprisse troppo i volti degli zombie e ne amplificasse l’aggressività. Meccanismi che sono stati poi ripresi dagli altri disegnatori.
Ultima cosa. La parte più bella di questa avventura? L’aver collaborato e conosciuto, Mauro Marcheselli (tra le altre cose direttore editoriale di Sergio Bonelli Editore, ndr.) ed Emanuele Tenderini, autore dei colori che ritengo siano stati fondamentali.
Carmine – No, all’epoca era Gualdoni il redattore che seguiva il Color Fest (testata di Bonelli su cui è uscita originariamente la storia, prima di venir raggruppata nel volume BAO, ndr.). Credo che se ci fosse stato Roberto, forse, ci avrebbe fatto osare di più visivamente. Ma questo è solo un What-If.
C4C – La tua storia è l’ultima a livello cronologico, ma la prima in cui si immerge il lettore. Le atmosfere sono davvero particolari e dimostri ancora una volta la tua cura per i dettagli e una capacità espressiva nei volti dei personaggi davvero invidiabile. C’è qualcosa in particolare che ti ha ispirato nel disegno? Che siano film, libri o, perché no, musica?
Carmine – Spazio 1999. Volevo che gli ambienti fossero asettici con richiamo agli anni ’70, proprio come per la serie televisiva. Inoltre mi sono divertito a realizzare l’ambiente del laboratorio, dove ho voluto dare una visione onirica e surreale, ripescando dalle mie suggestioni e omaggiando il mio libro Oudeis e i suoi protagonisti.
C4C – Le storie presenti nel volume sono permeate dal pessimismo e narrano di un futuro senza più speranze per nessuno, un vero e proprio incubo in cui realtà e orrore sembrano fondersi. Mancanza di punti di riferimento e tematiche che difficilmente troviamo raccontate con questa crudezza sul mensile dell’indagatore dell’incubo: quale aspetto, ti ha affascinato di più di questo Dylan?
Carmine – La parte che mi piaceva seguire, attraverso il percorso della sceneggiatura di Bilotta, era di poter rendere la tristezza di DYD. Avrei voluto amplificarla ancor di più, dedicandole più pagine. Ma lo spazio erano purtroppo di sole 30 pagine.
C’è, o c’è stato, qualcuno a cui ti ispiri quando disegni?
Carmine – Nel caso di DYD ogni volta che devo disegnarlo ho sempre focalizzato nel mio immaginario quello di Casertano. E cerco di potermi avvicinare attraverso il mio tratto, alla sua bellezza. Ci provo…
Carmine – Mah, è difficile… per ora sono felice così, di quello che ho fatto e concepito attraverso collaborazioni che, durante gli sviluppi, non mi collocano solo come un semplice manovale realizzativo. Ma concepisco, ragiono dettagli che rafforzino e suppliscano ai punti deboli di una trama. E ancora oggi lavoro tranquillamente così anche con autori Marvel.
Con professionisti italiani spero di collaborare presto, mi piacerebbe moltissimo. Provare strade nuove e lasciare le scie retrò o i ritorni di fiamma finti. Collaborare con professionisti che sanno riconoscere i meriti di un lavoro svolto al 50%.
C4C – Quale dei fumetti che hai disegnato ti ha reso più orgoglioso? E ce n’è uno in particolare di cui, invece, non ti senti particolarmente soddisfatto?
Carmine – Orgoglioso di Battlin’ Jack Murdock. E credo che si possa capire il motivo.
Meno soddisfatto, in parte e con rammarico, per La Dottrina. Avrei voluto osare di più.
Carmine – No, nessuno, ogni fumetto ha il suo equilibrio e storia, come gli autori stessi che lo interpretano e lo creano.
Il mio titolo preferito è Dare Devil.
C4C – Puoi rivelarci alcuni dei tuoi futuri progetti?
Carmine – Al momento non posso per contratto. Ma attualmente sto realizzando X-factor scritto da Peter David.
C4C – Cosa consiglieresti ai giovani disegnatori che volessero provare a ripercorrere le tue orme?
Carmine – Non seguite le mie orme. Ognuno ha il suo percorso naturale da seguire. Al limite direi loro di darsi da fare e meno chiacchiere.
C4C – Ultima domanda, che è di rito per C4C: qual è la tua kryptonite?
Carmine – Gli occhi di mia figlia, mi inibiscono e mi fanno fare quello che vuole lei.
Un ringraziamento davvero sentito al gentilissimo Carmine, e un in bocca al lupo per i tuoi futuri progetti da parte mia e dal resto della redazione.
Per gli altri articoli sulle Cronache vi rimando all’evento della BAOtique, alla recensione del volume e all’intervista esclusiva a Paolo Martinello, disegnatore della terza storia e della copertina.
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